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GLI OSTACOLI: scavare sotto la superficie

1, 2, 3 MATTONCINI DI STORYTELLING
GLI OSTACOLI: scavare sotto la superficie

3° – Hai presente la frase “è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?” Se sì, saprai benissimo quando si usa, ovvero quando si sopporta, sopporta, sopporta e a un certo punto, per un banale pretesto, si scoppia. Terribile! Perché significa essere arrivati al limite con qualcuno o qualcosa e che è davvero difficile tornare indietro e risolvere la questione.
La metafora del vaso per uno scrittore è importantissima perché tira in ballo una questione fondamentale: per individuare il vero conflitto del protagonista (ovvero il suo drago, l’ostacolo insormontabile interno e/o esterno che si troverà ad affrontare) è importante “scavare” nella sua anima ma anche e soprattutto nella tua, di scrittore. Andare a fondo alla questione ti permetterà di trovare un “conflitto tematico”, cioè adeguato a ciò che stai raccontando, che riflette il tuo punto di vista e ciò di cui parla veramente la storia.
Per trovare un buon conflitto si deve andare a ritroso e scavare fino al nucleo centrale, trovare la molla, la vera causa che ha fatto sì, ad esempio, che si arrivasse al punto esatto in cui tutto è esploso, nella maggior parte dei casi, oltretutto, per un banale pretesto, che la nasconde. Infatti nella vita di tutti i giorni accade spesso che ci innervosiamo per qualcosa o con qualcuno e non badiamo al fatto che c’è sempre una causa da cui deriva la nostra frustrazione. I veri motivi sono spesso nascosti, sepolti sotto strati di apparenti problemi la cui causa, spesso, dimentichiamo di indagare.

Ricorda n. 3= <<Dio disse: “Ama i tuoi nemici!”E io obbedii e amai me stesso.>>
(Kahlil Gibran)

Prova n. 3 = Racconta la volta in cui la famosa goccia ha fatto traboccare il vaso. Entra nei dettagli, scava più a fondo che puoi fino a trovarne la radice.

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GLI OSTACOLI: «il toast cade prevalentemente dal lato imburrato»

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GLI OSTACOLI: «il toast cade prevalentemente dal lato imburrato»


2°- Dato che il conflitto è il confronto tra il desiderio di raggiungere un obiettivo e l’ostacolo che si frappone per raggiungerlo, è importante considerare quanto la natura dell’ostacolo riveli la qualità di un racconto.
Per creare un buon conflitto c’è una sola cosa importante da tenere a mente, ovvero il protagonista!
E tu, scrittore, all’inizio sarai chiamato a decidere due cose molto importanti:
1) dovrai decidere se il tuo protagonista inizierà ad agire e affrontare un ostacolo perché mosso dal desiderio di raggiungere l’obiettivo o se invece è l’ostacolo che “piomberà” sul protagonista, spingendolo a reagire.
2) dovrai decidere perché il tuo protagonista non si arrenderà mai, costi quel che costi, di fronte all’ostacolo che incontrerà.

La risposta a queste due domande ti servirà in parte a trovare l’ostacolo più adatto per il tuo personaggio: più lo conosci e meglio saprai qual è la cosa peggiore che potrebbe capitargli. Perché un buon conflitto, in sostanza, equivale alla legge di Murphy: « Se ci sono due o più modi di fare una cosa e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo.» Il “qualcuno”, in tal caso, sarà il tuo protagonista!

Ricorda n. 2 = Condividiamo uno schemino estratto dal libro “L’ ABC della drammaturgia” che crediamo possa essere utile:
Gli ostacoli possono presentarsi sotto forme diverse.
Nel caso di un uomo che ha l’obiettivo di sedurre una donna, gIi ostacoli possono essere:
– l’uomo stesso: maldestro, pauroso, timido, stupido, brutto;
– la donna, che non vuole più saperne d’innamorarsi, che ha
gusti diversi (cfr. L’mportanza di chiamarsi Ernesto), che ama un altro;
– gli altri: un rivale, un’altra donna gelosa, la famiglia dell’uno o famiglia dell’altro (cfr. Romeo e Giulietta);
– la società, rappresentata dalla morale o dall’inconscio culturale;
– la natura (un ciclone li separa);
– il caso, a volte chiamato destino.

Prova n. 2 = Pensa a questo personaggio: una ballerina che vuole passare un’audizione. Quali ostacoli potrebbe incontrare?
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GLI OSTACOLI: l’enigma del conflitto e le sue categorie

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GLI OSTACOLI: l’enigma del conflitto e le sue categorie.

1°- E’ universalmente riconosciuto che tutte le storie si focalizzano sulle difficoltà, grandi o piccole che siano; va da sé che l’esperienza del “conflitto” diventa l’elemento base di ogni racconto.
Detto così suona quasi spaventoso. Beh…da un certo punto di vista lo è!
Tecnicamente parlando, in una storia gli ostacoli impediscono al protagonista di raggiungere il suo obiettivo e sono determinati dalle sue PAURE.
Generalmente si tende a classificare il conflitto in due categorie:
– un conflitto esterno: un ostacolo fisico che il protagonista si trova a fronteggiare.
– un conflitto interno: una barriera psicologica, un dubbio, una fragilità,un difetto che esiste nella testa del protagonista
NOTARE BENE: I conflitti non vengono scelti a caso: il conflitto nelle storie è l’incarnazione della paura del protagonista.

Ricorda n. 1 = L’OBIETTIVO da raggiungere muove le sorti della storia.
AMORE e PAURA spingono il protagonista ad agire, provocando effetti imprevedibili, nel bene o nel male.

Nello specifico è utile, per creare un buon conflitto, considerare queste domande:
Da dove nascono i conflitti? Qual è la loro radice?
Prove a farci caso, nelle storie si possono individuare almeno quattro radici del male che rispondono ai quesiti in questione:
Uomo contro un altro uomo (o contro un mostro).
Uomo contro la società.
Uomo contro la natura.
Uomo contro se stesso.

Prova n. 1= Riesci ad individuare altre possibili risposte? Pensaci, questo “allenamento cerebrale” ci tornerà utile nella prossima puntata 😉

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COSTRUIRE IL VOLTO DEL PERSONAGGIO: ai confini della fisiognomica

2# LEZIONE di “Costruire il volto del personaggio”
Ai confini della fisiognomica.

Citiamo Wikipedia :
“La fisiognomica o fisiognomonica è una disciplina pseudoscientifica che attraverso la fisiognomia o fisiognomonia pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto”.
Riportiamo tale fonte non tanto perché crediamo nella fisiognomica (l’apparenza inganna, si dice), quanto perché l’esistenza di tale “disciplina pseudoscientifica” denota due cose fondamentali: l’insondabilità dell’animo umano ed il tentativo fatto nei secoli da ogni uomo sulla terra per comprendere se stesso e gli altri intorno a lui.
In letteratura in particolare (ed anche al cinema o al teatro quando gli attori con il loro aspetto fisico caratterizzano pienamente un personaggio), attraverso la descrizione di un volto si vuole (e si usa) dare risalto al carattere dei propri personaggi, quasi che tratti particolari del loro aspetto fisico rivelino aspirazioni, segreti e prerogative.
In parte questa è una verità, difatti non c’è emozione che non si manifesti sul volto. Di recente un famoso studioso di comunicazione non verbale, Paul Ekman, ha reso noto il funzionamento di micro-espressioni facciali che appaiono sul volto per una frazione di secondo, rivelando l’emozione che si prova nell’istante in cui “appare”. Ciò a significare che nonostante i tentativi di dissimulazione, ciò che sentiamo internamente si manifesta nella nostra espressione.
Chiaramente qui parliamo di emozioni, il che è completamente diverso dal dare credito a teorie lombrosiane ma siccome ci stiamo occupando di tecniche di narrazione e siccome una delle prerogative della scrittura è quella di “rendere visibile l’invisibile”, non possiamo negare come scrittori illustri e talentuosi abbiano “materializzato” personaggi in modo impeccabile, dando vita in poche righe ai loro mondi sconfinati e contraddittori, solamente grazie all’uso sapiente delle parole nel descrivere un volto.
Vi riportiamo un esempio, la descrizione di Gertrude, la monaca di Monza de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni:

Il suo aspetto, che poteva dimostrare 25 anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non di inferiore bianchezza; un’altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento, in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo di un saio nero. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea di un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce; quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio di un pensiero nascosto, di una preoccupazione famigliare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti. Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque appena tinte d’un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero. La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso c’era qua e là qualcosa di studiato e di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva su una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento“.

I tratti fisici della monaca, i suoi gesti, le sue espressioni, divengono lo specchio dell’anima di questa donna realmente esistita (Marianna de Leyva) e divenuta personaggio indimenticabile nel romanzo. Intuiamo molto di lei, ne siamo vagamente attratti e respinti allo stesso tempo, ancor prima di conoscere la sua storia o di vederla all’opera. Questo proprio grazie all’accurata precisione della descrizione fisica che si concentra sui dettagli, sui gesti; e grazie anche alla scelta di verbi, avversative, enunciati dubitativi, di cui Manzoni si è servito per dare corpo alla figura. Tutto, in questo caso, concorre a fornire un quadro preciso di Gertrude, in modo ricco, sublime pieno di pathos, in grado di stimolare il lettore a farsi un’idea, chiamandolo in causa per diventare protagonista della vicenda.

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L’OBIETTIVO: crescere, che fatica

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L’OBIETTIVO: crescere, che fatica.

3° – All’interno di una storia il valore di un obiettivo risiede nel percorso che il protagonista deve compiere per raggiungerlo.
L’attenzione si pone soprattutto sui cambiamenti interiori che avvengono dentro di lui: se il percorso lo fa crescere o meno, se impara ad affrontare e/o superare gli ostacoli incontrati, se scopre qualcosa di più di se stesso.
Per questo è importante tenere a mente quanto segue:
– che ogni obiettivo sia ben motivato, ovvero abbia una forte posta in gioco;
– che non sia scontato da raggiungere;
– che il protagonista desideri ottenerlo ad ogni costo, nonostante le difficoltà;
– che tale raggiungimento vada di pari passo con una trasformazione del protagonista.
E’ chiaro che le azioni del protagonista non bastano a creare una trama avvincente infatti né nella vita reale, né nella finzione succede che le persone crescono o migliorano solo perché lo vogliono o perché lo scrittore vuole che ciò accada. La crescita, infatti, è il risultato delle esperienze che si fanno e di come si sono affrontati errori e fortune, vittorie e sconfitte. In una storia quindi è necessario (se non scontato), che ci siano delle prove da superare, che a loro volta assumono significato se inserite in un contesto tematico ben preciso.
“Come” inizieremo a scoprirlo nella prossima lezione di 1, 2, 3 MATTONCINI DI STORYTELLING, quando tratteremo del conflitto.

Esercizio n. 3 = Pensa ad un episodio della tua vita ricordando un obiettivo che hai raggiunto o meno e rifletti per rispondere a questa domanda: quanto e come le sfide esterne che hai incontrato nel raggiungerlo ti hanno cambiato, migliorato, fatto crescere e/o hanno formato, rafforzato, modificato i tuoi valori interni ed il modo in cui ti percepisci adesso.

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