Il coraggio va in scena e si chiama Fortuna

Il coraggio va in scena e si chiama Fortuna TEATRO: Intervista all’attore e drammaturgo Alessandro Sesti, della Compagnia SMG

Tra le cose che ci fanno paura, ce n’è una irrimediabilmente insopportabile: che il male sia invincibile. Paradossalmente, tale convinzione è alimentata dalla dicotomia stessa che separa il male dal bene, e che assolve le “persone buone”dalla responsabilità delle loro azioni, lasciandole dormienti, nella convinzione di non avere nulla a che fare con ciò che di cattivo li circonda.
Eppure la linea di confine che separa bene e male è accessibile ad ognuno di noi, ed anche il silenzio, spesso, e la “non-azione” hanno il loro peso nello svolgimento degli eventi.

Bene, ci sta questo gruppetto di ragazzi, la Compagnia SMG, che piano piano ha iniziato a girare l’Italia con Fortuna, uno spettacolo teatrale che pone a ciascuno di noi un interrogativo fondamentale, mettendoci di fronte alla realtà più intima del nostro io con una semplicità disarmante: raccontandoci la storia di un ragazzo che per motivi di lavoro si trasferisce a Caivano, in provincia di Napoli.

Abbiamo avuto il piacere di poter fare qualche domanda al frontman della compagnia, l’attore e drammaturgo Alessandro Sesti (N.B. il primo a sinistra nella foto!), che ha scritto e interpretato Fortuna, per la regia di Erica Morici, affiancato dal cantautore Nicola Puscibaua, con la consulenza musicale di Andrea Giansiracusa.

 

Ciao Alessandro, grazie per la tua disponibilità.
Senza voler svelare troppo di Fortuna, vorremmo chiederti come è nata l’idea e cosa vi ha portato alla decisione di costruire lo spettacolo partendo da un fatto di cronaca, ovvero l’omicidio di Fortuna Loffredo, avvenuto nel 2014 a Caivano.

Ciao ragazzi, grazie a voi per la domanda.
La cosa è stata all’inizio casuale… è stata mia madre, infatti, a risvegliare in me l’interesse verso questa storia. Mentre raccontava di questa bambina precipitata nel vuoto, nel Parco Verde di Caivano, ho avuto la sensazione che qualcosa non tornasse ed ho capito che non si stava parlando solo di un omicidio.

Ho iniziato ad indagare, facendo delle ricerche prima in rete, poi parlando con alcune persone nate e cresciute ad Aversa (città a 7 km da Caivano), che mi hanno raccontato molte cose, sia della zona che di Caivano. È così che sono venuto a conoscenza di un altro fatto di cronaca nera: nel 2013 anche Antonio Giglio, un bimbo di tre anni, era precipitato dal terzo piano della palazzina nel Parco Verde di Caivano…
Quello che ho scoperto nelle prime fasi di ricerca è che tutti, a Caivano, sapevano che c’era una stanza, “la stanza dei bambini”, dove i bambini del quartiere venivano portati quotidianamente e violentati ma anche se sapevano, tutti rimanevano in silenzio.
Ecco, per me l’analogia è stata immediata quando ho scoperto queste cose, perché questo è chiaramente un caso estremo di violenza ma anche e soprattutto un caso estremo d’omertà. È così che è nata l’idea di scrivere lo spettacolo.
Noi della Compagnia SMG abbiamo preso questo episodio di cronaca nera per poter parlare a tutti, abbiamo portato in scena la “storia particolare” per poter parlare della “storia generale”, e dire che alle cose tristemente estreme ci si arriva a causa della somma di cose apparentemente più piccole ed insignificanti, come il silenzio, o meglio, l’omertà.

Quanti eventi tragici accadono a causa della nostra mentalità mediocre che si è assuefatta ad un certo tipo di struttura mentale: ad esempio, posso essere talmente tanto abituato a  vedere uno che sta infrangendo la legge, anche in maniera lieve, magari sta buttanto una carta a terra, oppure sta rigando una macchina, oppure ancora ha urtato una macchina e tira via senza chiedere di chi è il proprietario… e appunto, dicevo, posso essere talmente tanto abituato che poi, quando lo vedo, sto zitto!
Ecco, noi stiamo zitti, e non è che il silenzio sia meno grave dall’aver compiuto il danno.
Perché questo qui, purtroppo, è insito nel nostro stesso essere ed è così che roviniamo l’Italia. Questa in fondo è l’analogia con l’omertà quotidiana che permette poi a questi abomini di realizzarsi, perché se uno non ce l’avesse come struttura mentale neanche l’episodio di cronaca accadrebbe mai. Se io immagino, ad esempio, che possa esserci qualcosa di strano in una “stanza dei bambini” nell’appartamento di un condominio, dovrei andare a denunciare, anche solo per togliermi il dubbio ma invece accade che c’è proprio nella nostra struttura mentale uno sconvolgimento dei fatti e finisce che tu hai da rischiare se parli, perché se denunci agisci da spia!

 

Molto interessante tutta la scelta drammaturgica, dal teatro di narrazione all’intero allestimento, compresa la vostra capacità di trattare con delicatezza questo tema senza mai perdere la tensione scenica.

Parlare di cose drammatiche in maniera drammatica è controproducente, sarebbe come un sottolineare una cosa che è già in evidenza, che è già chiaro, che comunque va a toccare delle corde in ognuno di noi, ma non serve ad aggiungere altro. Anche per questo è stata fatta la scelta del teatro di narrazione anziché una messa in scena solo per riportare un fatto di cronaca.

 

La scelta di utilizzare dei fatti di cronaca come spunto per raccontare qualcosa piuttosto che inventare da zero è un approccio che applichi generalmente o è stato un caso? E cosa significa per te fare teatro?

Personalmente come drammaturgo della compagnia ho questa tendenza ad ascoltare storie e ad utilizzarle per costruire una drammaturgia. Anche in Briciole (spettacolo teatrale scritto e diretto da Alessandro Sesti ed ispirato alla vicenda del “mostro di Cleveland”, Ariel Castro, che aveva rapito e segregato in casa per undici anni tre donne) abbiamo lavorato con una drammaturgia che amo definire “attiva”, ho chiesto agli attori di raccontarmi la loro giornata tipo ed insieme abbiamo fatto un grandissimo lavoro di immaginazione. Il mio è un lavoro di ascolto ed anche in Fortuna sono tutte quante storie vere, non c’è proprio nulla di inventato, poi le ho imbastite, introducendo un protagonista che si trova a dover fare i conti con una realtà disarmante, a cui non era abituato ma che immediatamente lo risucchia in un vortice di inquietudine paralizzante.

Per me non c’è nulla di più forte della verità e per me il teatro è ricerca, quello che mi interessa è raccontare qualcosa a cui normalmente non si dedica tempo durante le giornate. Per me il teatro diventa quasi un veicolo per poter portare dei messaggi: è portare le persone a farsi domande.

Ci tengo a raccontare una storia che deve muovere un minimo la coscienza, perché viviamo in un periodo, in un’epoca, che è senza più ideali e le generazioni più giovani crescono senza valori. Dobbiamo pensarci noi, allora, i più grandi, a mantenerli vivi questi valori.
Con il nostro spettacolo vorrei fare memoria di Fortuna ed Antonio perché certe cose non devono accadere più, proprio come l’Olocausto, né più e né meno, e se noi smettiamo di ricordarla questa cosa, se noi smettiamo di ricordare quei bambini che sono stati ammazzati due volte, allora non ci meravigliamo che poi qualcun altro sbaglierà ancora.

 

Una curiosità legata al titolo dello spettacolo, Fortuna: doppio senso che però sembra assurdo. Non si tratta di un evento fortunato quello che racconti, ma in qualche modo il fatto che sia venuto alla luce è una “fortuna”.  Che significato ha avuto per te la scelta di questo titolo? E cosa pensi in generale dei titoli?

Penso che il titolo sia importantissimo. Fortuna all’inizio aveva un sottotitolo: “la legge del silenzio” che è la definizione Treccani della parola omertà…ma di quello ne parla già molto lo spettacolo, così ho lasciato solo Fortuna. La fortuna non è necessariamente buona, nell’antica Grecia la dea della fortuna non era solo benevola.

E la piccola Fortuna ha avuto la cattiva sorte di essere uccisa e violentata per anni ma è come se fosse diventata una martire per me e non credo sia un caso se questa storia mi sia venuta a bussare alla porta. Non vi nascondo che durante gli spettacoli ho avuto l’impressione che lei fosse davvero lì con me.

 

Che legame ha questo testo con i testi delle canzoni e con la scelta di questo tipo di musiche, scritte da Nicola Puscibaua?

Nicola Puscibaua, cantautore, all’anagrafe Nicola Papapietro, sì, ha anche un nome vero… la prima volta che l’ho incontrato suonava la chitarra senza una corda… “Ma tu suoni sempre così, senza una corda?”gli chiesi, e lui poco dopo iniziò a suonare una canzone da lui scritta  che si chiamava I Re Magi, io là mi innamorai del suo modo di scrivere e di cantare ed eccoci qui! Nicola rappresenta la musica vera nell’epoca degli X Factor, lui parte dalla parola, dal bisogno di raccontare.

 

Adesso siamo curiosi, Compagnia Teatrale SMG (Sesti Morici Giansiracusa), parlaci un po’ di voi!

Aspettavo questa domanda! Beh, siamo in quattro.

Erica Morici alla regia, ha fatto una scelta registica importantissima, è riuscita a rendere protagonista solo ed esclusivamente la storia e non era facile. È riuscita a contenere la scena e a mettere in prima linea solo le parole, ritengo abbia fatto un grandissimo lavoro di regia.
Il quarto elemento ha dato anche il nome alla Compagnia, SMG infatti sta a significare “Scusate ma Giansi?” (che in realtà sono pure le iniziali dei nostri cognomi, Sesti, Morici e Giansiracusa) ovvero Andrea Giansiracusa, appunto, e che a Torino non c’era! (la Compagnia SMG è stata selezionata al Fringe Festival di Torino, dove si è esibita quest’anno a maggio). 
Il suo lavoro è stato fondamentale, in quanto ha curato tutta la parte armonica dello spettacolo. Ha utilizzato la mia parola e le canzoni di Nicola, le ha messe come su un pentagramma ed ha dato una ritmica a tutto lo spettacolo. Infatti la musica è molto presente.

Ecco, questa è la squadra, e ci tengo a raccontare che lo “Scusate ma Giansi?” è nato durante le prove! In quel periodo stavamo lavorando a Briciole, il nostro primo spettacolo, io ed Erica arrivavamo in sala e Andrea non c’era mai, ma proprio mai! Arrivava sempre con mezz’ora minimo di ritardo e la domanda di sempre era “Sì, ma Giansi?!” e da lì è nato questo tormentone, che poi è diventato il nostro nome!

 

Avremmo un’ultima domanda da farti, legata proprio alla nostra identità di Evidenziatori! È una domanda apparentemente semplice ma è necessario che la risposta sia immediata! Qual è la tua parola preferita?!

La mia preferita è “parapiglia” e mi piace tantissimo prima di tutto per il suono, ha molti suoni diretti, tondi, pungenti! Ho scritto una raccolta di poesie che ancora non ho avuto il coraggio di tirare fuori che si intitola proprio “Parapiglia”, sottotitolo “è solo la mia parola preferita”… c’è quella cosa lì che ha questa parola che mi affascina tantissimo, perché sembra sia usata solo nei cartoni animati! Adesso dici scoppia un caos, un festino, un bordello, invece parapiglia rende proprio l’idea di qualcosa che sta in movimento, mi piace molto perché evoca un caos positivo, il parapiglia non è sinonimo di pericolo o di fuga, ma di un caos positivo, ecco, a me piace riassumerla così!

Grazie Alessandro per il tuo tempo, e grazie a tutti voi della Compagnia SMG per averci donato così tanto. 
Sappiamo che state girando l’Italia con Fortuna, portandolo anche nelle scuole. Speriamo presto di trovarvi con questo spettacolo anche a Reggio Calabria!

Se ti piace, condividilo! 😉

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