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LE LAMENTELE «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.


Non so che rapporto avete con la vostra vocina interiore. Gli esperti dicono che ce n’è più di una in realtà, non ho mai capito bene come funzioni il discorso. Quello che so per certo è che in ognuno di noi alberga una vocina distruttrice che si fa sentire nelle più disparate circostanze. È quella che ci scoraggia di fronte alle difficoltà, che ci ricorda i nostri fallimenti, che ci implora di fermarci prima di affrontare qualcosa di nuovo che tanto non ci riusciremo mai a portarla a termine. Ci dice anche che noi siamo buoni a nulla e che è inutile che proviamo a pensare in positivo, che tanto il positivo non esiste. Insomma, a meno che l’unica dissociata non sia io (e vi prego dite la vostra se è così, almeno ne prenderò atto) questa vocina interiore alla fine dei conti non fa altro che lamentarsi. Non le va mai bene niente, è incredibile, sembra una zitella acida, o una suocera frustrata, non le va bene proprio niente!
Che fare? zittirla non si può. A lasciarla cantare spesso e volentieri ci si snerva, perché è vero che alle volte ci si abitua anche al peggiore dei rumori ma quanto è bello, di contro, il silenzio? La pace interiore, bisogna volerla.

Il punto è che la vocina in questione ha paura. È sempre sulla difensiva perché teme che qualcosa possa farla soffrire. È l’eccesso in difetto dell’istinto di sopravvivenza e, in fondo in fondo, le piace lamentarsi, perché si sfoga. Sfoga via tutte le tensione accumulate, specialmente quelle inconsce che trovano voce grazie alla sua. La vocina lamentosa ha un’energia incredibile e a volte fatica a stancarsi, parla parla, ed il più delle volte trova compagnia e fa comunella con le altre vocine lamentose che le stanno attorno. Anche lei sa che l’unione fa la forza. E sa anche che è meglio agire piuttosto che subire perché è una ribelle, se non lo fosse starebbe zitta! La lamentela, difatti, nasce da una condizione di disagio che non si riesce ad accettare. E ciò è un bene, altrimenti non sarebbe possibile l’evoluzione. Ciò che mette in luce la vocina lamentante è assolutamente prezioso perché esprime la necessità di una svolta e la possibilità di attuarla. Se non ci fosse un’alternativa, del resto, la voce non esisterebbe. Che fare quando però diventa insistente e sfianca le nostre energie? Aspettare che si stanchi è un buon metodo. Ciò non risolve del tutto la situazione perché alla prima occasione tornerà a reclamare la nostra attenzione, cercando aiuto: stai attenta, cosa credi di fare, non ne hai le capacità, pensi davvero di poter dire cose sensate, pensi davvero di riuscire a buttar giù cinque righe di fila? Ritirati finché sei tempo, ascolta il mio consiglio! La vocina non tacerà perché anche questa è la sua natura, d’altronde bisogna stare attenti di fronte all’ignoto altrimenti si corre il rischio di fare passi falsi e precipitare nel vuoto.
Bisogna essere istintivi sì, ma abbiamo un cervello ed è necessario usarlo al fine di discernere e ponderare. Da qui la nostra vocina ci vuole fornire il suo aiuto, solo che lo fa in maniera sbagliata. Bene, abbracciamola. Esatto… abbracciamo la nostra vocina interiore lamentosa, del resto ha solo paura e tanto bisogno d’amore. Non è colpa sua se è così, lei lo fa per il nostro bene, lo fa per salvaguardare la nostra identità. Lo fa per metterci di fronte ad un problema, ad una mancanza, ad una frustrazione: che duro compito il suo, dover sempre stare sull’attenti per salvaguardare ogni nostra mossa, ai voglia a lamentarsi, non si diverte mai poverina! Certo un po’ ci sguazza in questo suo ruolo e a volte le sue lamentele sono solo una scusa, del resto è un po’pigra. Ma, come ogni cosa su questa terra, ha solo bisogno di amore.

Certo abbracciare la propria vocina interiore non è facile, ma è proprio questa la sfida. Un metodo valido per tutti non esiste, ognuno deve trovare il suo. Provate dai. Scommetto che la vostra vocina lamentosa sicuramente vi starà dicendo, proprio in questo istante, che non ci riuscirete mai. Ha paura che rimarrà sempre sola e nessuno andrà mai ad abbracciarla… vi fa tenerezza, non è vero?

IL TRAFFICO «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.


Rimedi contro il traffico:
1- non prendere la macchina nelle ore di punta.
Se si infrange questa regola si rischia di diventare il traffico stesso.
A pensarci bene il traffico non è un’entità soprannaturale ma un agglomerato di macchine con dentro gente che sbuffa o guarda disperata l’orologio.
A tutti, almeno una volta nella vita, è capitato di essere il traffico (come dicono i migliori adepti della filosofia zen). È inevitabile e naturale, proprio come avere il raffreddore o bere un bicchiere d’acqua. È insopportabilmente prevedibile e intrinsecamente imprevedibile, difatti succede a volte che pur evitando l’ora di punta ci si ritrovi comunque nel traffico per un qualsiasi, comunissimo, imprevisto. E per quanto lo si odi o lo si tema il traffico può diventare, a seconda delle circostanze, un potente alleato, un’arma (a doppio taglio) da usare come scusa quando si è in ritardo.
La sua potenza non è da sottovalutare e, anche solo per questa piccola peculiarità, può esserci simpatico proprio come un vecchio amico un po’ rompiscatole ma pur sempre affettuoso e affidabile. Non c’è niente infatti più affidabile e puntuale del traffico all’uscita dal lavoro, di scuola, del traffico per raggiungere una destinazione ambita, o di quello del sabato sera o di quello per entrare al museo o ad un concerto.
Che fare allora in queste situazioni? Nulla. Assolutamente nulla.
Non c’è niente che possa impedire di diventare traffico, proprio come un bruco non può evitare di diventare farfalla.
Quindi, quando accade, provate a fare così: sorridete. Dico davvero, sorridete. Anche se è un sorriso finto, forzato, stirate gli angoli della bocca, da parte a parte, scoprite i denti sì. Sentite la sensazione della pelle che tira i muscoli, che stiracchia le fossette intorno agli occhi, che distende la tensione della fronte, alleviando il fastidioso mal di testa, la sentite la tensione che si scioglie? Wow! Siete soli, nel traffico e potete sorridere. Potete rilassarvi, nessuno baderà a voi. Altro che massaggi facciali che costano un sacco di soldi e vi fanno perdere tempo, altro che botulino, sedute dall’estetista o dal chirurgo estetico, che vi fanno perdere soldi e non sono né sicure né definitive. Mezz’ora al giorno potrete dedicarla a voi stessi così, in maniera del tutto gratuita . E libera.
Ciò che credevate potesse essere tempo perso, diviene tempo guadagnato, tempo impiegato a sorridere.
I vantaggi del sorridere non c’è bisogno che ve li spieghi io, testateli.
Ci avevate mai pensato? 🙂

GLI OMBRELLI «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.

Ci sono ombrelli di ogni forma e dimensione, seri o colorati, per bambini o per adulti, grandi, piccoli, col manico curvo o dritto.

L’ombrello ha la funzione di riparare dalla pioggia: un compito preciso di un prodotto artificiale creato per arginare un fenomeno naturale. Anche se la pioggia di per sé non è negativa, negativi possono essere i suoi effetti quando, ad esempio, fa freddo e i capelli e i vestiti si inzuppano.

Gli ombrelli sono un’invenzione che risale al … ehm… vediamo che dice Wikipedia: l’ombrello è un accessorio usato per fornire ombra a chi lo porta e ripararsi dal sole o dalla pioggia. Non si conosce con precisione né il periodo né il luogo in cui l’ombrello fu inventato. Fino al Settecento l’ombrello è rimasto un oggetto in uso solo fra i nobili e le classi abbienti ed era portato da un servo come distintivo onorifico. Per ripararsi dalla pioggia si usavano mantelli e cappucci e solo nell’Ottocento si è iniziato a diffondere l’uso dell’ombrello come parapioggia.

Quindi l’ombrello nasce per farsi ombra e per ripararsi dal sole.

Sole e pioggia, fuoco e acqua, elementi naturali, imprescindibili, fattori fondamentali dell’esistenza del mondo, eppure, se abusati, possono far male. Controsenso prevedibile che le cose facciamo male quando diventano eccessive? Forse, semplicemente, fanno male all’uomo impedendogli lo svolgimento di determinate attività per le situazioni climatiche poco agevoli. Gli animali invece si regolano di conseguenza e, nonostante siano abitudinari, sanno discernere le loro attività e stabiliscono in base al meteo le loro priorità. Solo l’essere umano continua imperterrito a voler svolgere il suo daffare, in qualunque condizioni versi il clima.

L’uomo ha in media tre settimane di vacanza: che santa benedizione ed invenzione è per lui l’ombrello, in tali termini, infatti, agevola e permette ogni suo movimento, in qualsiasi circostanza.

Che l’uomo abusi del suo tempo, credendo di poter essere onnipotente e in grado di frenare la potenza della natura, lo dimostra la situazione critica attuale che ci vede protagonisti (effetto serra, buco dell’ozono, inquinamento delle acque).

Basterà l’ombrello a  ripararci e proteggerci quando la natura, indomabile ed imprevedibile, ribalterà le leggi di causa-effetto che tanto presupponiamo di conoscere? Beh.. è improbabile. Le possibilità potrebbero ridursi ulteriormente se l’ombrello che avremo acquistato sarà stato quello delle bancarelle a tre euro.

LE LACRIME AGLI OCCHI «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.


Le lacrime… agli… occhi… le lacrime… gli agli… gli occhi… strano trio… in genere si parla di lacrime e cipolla… comunque l’aglio sugli occhi non ce lo metterei anche se pare abbia parecchi effetti benefici.

Ok, qui si parla di lacrime agli occhi… o meglio sugli occhi? La riflessione certa è: da dove vengono le lacrime? Siamo fatti per il 65 per cento d’acqua.. le lacrime sono nella percentuale, quindi più si piange e più il bicchiere che noi siamo appare sempre più mezzo vuoto o mezzo pieno… Quindi un piangere che anche se svuota non appesantisce ma alleggerisce l’anima o un pianto che spreca liquidi e porta all’aridità dell’anima… La lacrima come la pioggia scende giù, spesso porta gli uomini a sfuggirle come fosse fatta di gocce di liquido esplosivo o incendiario, in fondo ciò che cade dall’alto mette sempre un po’ in allerta. Sarà un residuo di trauma preistorico, anzi giurassico, quando una parte di noi era un dinosauro cancellato dalla terra da piogge di meteoriti. Oppure la gioia di innaffiare i terreni, di bere acqua nei deserti, di idratazione delle piante, degli alberi, dei boschi, delle foreste. La pioggia è necessaria perché le piante vivano, perché ci diano ossigeno, la questione sta tutto nell’eccesso… a un certo punto basta bere, c’è il momento della metabolizzazione. Piove, si piange. Ci si purifica, ci si idrata… come se una parte di noi percepisse un’aridità del viso al punto da volerlo innaffiare. Lacrime salate come residui del mare che ci portiamo dentro, quel mare che quando diventa mosso lancia schizzi, quel mare che fa trabboccare bicchieri e vasi. Uno sconvolgimento climatico dell’anima, la paura che prende il controllo, l’agitazione cellulare, la perdita di terreno, il sentirsi in balia del vento, smottamenti di terreno, alluvioni, fiumi che rompono gli argini. Lacrime che sono schegge, parti di noi che emettiamo quando soffriamo dal dolore, un indice di rottura, una conseguenza.

Piangere e pioggia, pioggere e piangia… a volte non si vorrebbe piangere, ma c’è un’irruenza interiore che impedisce ogni tentativo di mettere toppe e dighe. A volte le mettiamo così bene intorno al cuore che smettiamo persino di sudare. Aridi, robotici… forse diventati tali dopo forti dolori, forse dopo troppe paure.

Piangere e poi risorgere, piovere e poi germogliare… che è bello l’odore della pioggia mista alla terra, il sentire odori che stavano quasi sepolti sotto i nostri piedi, ritorvare la consistenza del terreno, l’evidenza dei nostri passi sul suolo e sulle nostre scarpe. Che è bello vedere l’arcobaleno, dopo la pioggia, dopo il dolore. Vedere sorgere il sorriso sul volto di chi amiamo, tornare il sole negli occhi di chi amiamo, e in quelli di chiunque smette di soffrire, di chi torna in forze, di chi ritrova il calore e qualcuno su cui versarlo e con cui condividerlo. Lacrime, lac rime… difficile trovarne rime in lac… non importa. anzi meglio così… la rima baciata non mi è mai piaciuta tanto.

E la lacrima  baciata? Il bacio che ripara vasi dilatati, congiuntiviti, ritorna tutto come nuovo, senza cicatrici.

LE FIRME «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.

Una parola detta è un po’ come la firma sotto un contratto testamentale: una volta scritta non si può più ritirare, a meno di non essere costretti a fare faticosi giri di parole. È vero, si può in qualche modo ritrattare, chiedere scusa, smussare in qualche modo i suoi tratti duri ed aspri (questo nel caso in cui le parole dette siano state spiacevoli e anche in caso contrario) ma ciò che è detto rimane. E anche chi l’ha detto rimane, impresso nella mente di chi ha ascoltato le parole.

Le parole sono la nostra firma. La nostra firma fissa parole che non rimangono più solo sulla carta. La nostra identità le avvalora e le rende meritevoli di esistenza.  Per questo i notai ci fanno un sacco di soldi (soprattutto con quelle di marca) e anche gli avvocati quando conoscono bene tutte le clausole.

Verba volant e scripta maneant, così si suole dire.
Le firme false, poi, non passeranno mai di moda soprattutto se servono a giustificare l’assenza da qualche lezione o una scusa per il ritardo.
È inutile rilevare che la nostra identità ha un peso e non si può comprare. Verba volant…

Eppure se c’è una cosa a cui bisogna fare attenzione nella vita è proprio sul cosa porre la propria firma, in senso reale e in senso figurato. Le firme sono come i sassolini di pollicino che piano piano ci riconducono alla via di casa.
È bene prestare attenzione a ciò che lasciamo per il mondo o potremmo ritrovarci a non riconoscere più neanche la nostra calligrafia.