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GLI OSTACOLI: l’enigma del conflitto e le sue categorie

1, 2, 3 MATTONCINI DI STORYTELLING
GLI OSTACOLI: l’enigma del conflitto e le sue categorie.

1°- E’ universalmente riconosciuto che tutte le storie si focalizzano sulle difficoltà, grandi o piccole che siano; va da sé che l’esperienza del “conflitto” diventa l’elemento base di ogni racconto.
Detto così suona quasi spaventoso. Beh…da un certo punto di vista lo è!
Tecnicamente parlando, in una storia gli ostacoli impediscono al protagonista di raggiungere il suo obiettivo e sono determinati dalle sue PAURE.
Generalmente si tende a classificare il conflitto in due categorie:
– un conflitto esterno: un ostacolo fisico che il protagonista si trova a fronteggiare.
– un conflitto interno: una barriera psicologica, un dubbio, una fragilità,un difetto che esiste nella testa del protagonista
NOTARE BENE: I conflitti non vengono scelti a caso: il conflitto nelle storie è l’incarnazione della paura del protagonista.

Ricorda n. 1 = L’OBIETTIVO da raggiungere muove le sorti della storia.
AMORE e PAURA spingono il protagonista ad agire, provocando effetti imprevedibili, nel bene o nel male.

Nello specifico è utile, per creare un buon conflitto, considerare queste domande:
Da dove nascono i conflitti? Qual è la loro radice?
Prove a farci caso, nelle storie si possono individuare almeno quattro radici del male che rispondono ai quesiti in questione:
Uomo contro un altro uomo (o contro un mostro).
Uomo contro la società.
Uomo contro la natura.
Uomo contro se stesso.

Prova n. 1= Riesci ad individuare altre possibili risposte? Pensaci, questo “allenamento cerebrale” ci tornerà utile nella prossima puntata 😉

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LE FIRME «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.

Una parola detta è un po’ come la firma sotto un contratto testamentale: una volta scritta non si può più ritirare, a meno di non essere costretti a fare faticosi giri di parole. È vero, si può in qualche modo ritrattare, chiedere scusa, smussare in qualche modo i suoi tratti duri ed aspri (questo nel caso in cui le parole dette siano state spiacevoli e anche in caso contrario) ma ciò che è detto rimane. E anche chi l’ha detto rimane, impresso nella mente di chi ha ascoltato le parole.

Le parole sono la nostra firma. La nostra firma fissa parole che non rimangono più solo sulla carta. La nostra identità le avvalora e le rende meritevoli di esistenza.  Per questo i notai ci fanno un sacco di soldi (soprattutto con quelle di marca) e anche gli avvocati quando conoscono bene tutte le clausole.

Verba volant e scripta maneant, così si suole dire.
Le firme false, poi, non passeranno mai di moda soprattutto se servono a giustificare l’assenza da qualche lezione o una scusa per il ritardo.
È inutile rilevare che la nostra identità ha un peso e non si può comprare. Verba volant…

Eppure se c’è una cosa a cui bisogna fare attenzione nella vita è proprio sul cosa porre la propria firma, in senso reale e in senso figurato. Le firme sono come i sassolini di pollicino che piano piano ci riconducono alla via di casa.
È bene prestare attenzione a ciò che lasciamo per il mondo o potremmo ritrovarci a non riconoscere più neanche la nostra calligrafia.

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COSTRUIRE IL VOLTO DEL PERSONAGGIO: ai confini della fisiognomica

2# LEZIONE di “Costruire il volto del personaggio”
Ai confini della fisiognomica.

Citiamo Wikipedia :
“La fisiognomica o fisiognomonica è una disciplina pseudoscientifica che attraverso la fisiognomia o fisiognomonia pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto”.
Riportiamo tale fonte non tanto perché crediamo nella fisiognomica (l’apparenza inganna, si dice), quanto perché l’esistenza di tale “disciplina pseudoscientifica” denota due cose fondamentali: l’insondabilità dell’animo umano ed il tentativo fatto nei secoli da ogni uomo sulla terra per comprendere se stesso e gli altri intorno a lui.
In letteratura in particolare (ed anche al cinema o al teatro quando gli attori con il loro aspetto fisico caratterizzano pienamente un personaggio), attraverso la descrizione di un volto si vuole (e si usa) dare risalto al carattere dei propri personaggi, quasi che tratti particolari del loro aspetto fisico rivelino aspirazioni, segreti e prerogative.
In parte questa è una verità, difatti non c’è emozione che non si manifesti sul volto. Di recente un famoso studioso di comunicazione non verbale, Paul Ekman, ha reso noto il funzionamento di micro-espressioni facciali che appaiono sul volto per una frazione di secondo, rivelando l’emozione che si prova nell’istante in cui “appare”. Ciò a significare che nonostante i tentativi di dissimulazione, ciò che sentiamo internamente si manifesta nella nostra espressione.
Chiaramente qui parliamo di emozioni, il che è completamente diverso dal dare credito a teorie lombrosiane ma siccome ci stiamo occupando di tecniche di narrazione e siccome una delle prerogative della scrittura è quella di “rendere visibile l’invisibile”, non possiamo negare come scrittori illustri e talentuosi abbiano “materializzato” personaggi in modo impeccabile, dando vita in poche righe ai loro mondi sconfinati e contraddittori, solamente grazie all’uso sapiente delle parole nel descrivere un volto.
Vi riportiamo un esempio, la descrizione di Gertrude, la monaca di Monza de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni:

Il suo aspetto, che poteva dimostrare 25 anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non di inferiore bianchezza; un’altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento, in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo di un saio nero. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea di un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce; quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio di un pensiero nascosto, di una preoccupazione famigliare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti. Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque appena tinte d’un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero. La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso c’era qua e là qualcosa di studiato e di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva su una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento“.

I tratti fisici della monaca, i suoi gesti, le sue espressioni, divengono lo specchio dell’anima di questa donna realmente esistita (Marianna de Leyva) e divenuta personaggio indimenticabile nel romanzo. Intuiamo molto di lei, ne siamo vagamente attratti e respinti allo stesso tempo, ancor prima di conoscere la sua storia o di vederla all’opera. Questo proprio grazie all’accurata precisione della descrizione fisica che si concentra sui dettagli, sui gesti; e grazie anche alla scelta di verbi, avversative, enunciati dubitativi, di cui Manzoni si è servito per dare corpo alla figura. Tutto, in questo caso, concorre a fornire un quadro preciso di Gertrude, in modo ricco, sublime pieno di pathos, in grado di stimolare il lettore a farsi un’idea, chiamandolo in causa per diventare protagonista della vicenda.

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RELIGIONE «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.


Religione…
Re ligione… il re e la legione…
religio, relego, lego…legare…
La religione cristiana, musulmana, cinese, indiana, africana, eccetera…dall’alba dei tempi l’uomo ha compreso di non essere solo, di far parte di qualcosa di più grande, così grande da non poter fare a meno di stare in gruppo per capirci qualcosa. Ha adorato la natura, a mitizzato cose e persone, ha seguito maestri spirituali, ha atteso salvatori, li ha trovati, li segue ancora. Questo legame tra noi e gli altri, tra noi e ciò che è più immenso e sconfinato, questa condivisione di pensieri condivisi, al di là delle peculiarità delle singole religioni è qualcosa che ci ha portato ad essere qui, oggi.
Siamo tutti legati a ciò che è stato fatto in funzione di credenze, fedi, razionali e non, siamo il risultato di tentativi, di intuizioni, di errori, di sacrifici, siamo qui perché in gruppi più o meno grandi abbiamo portato avanti dei valori che ci identificano come esseri umani in convivenza con tutti gli altri esseri viventi.
La religione è una scelta, a volte una moda, a volte un reperto sociologico e antropologico, ma non esistendo un’unica religione in quanto ne esistono anche non ufficiali, come potrebbero esserlo i culti verso qualsiasi cosa o persona, ciò che potremo ricavare in fondo è questa necessità comune di far parte di qualcosa che ci faccia sentire al sicuro, con gli altri, con noi stessi, nelle convinzioni a volte fino agli estremismi, al punto da vedere chi non appartiene al nostro credo come inferiore, peccatore, minaccia, concorrente.
Fatto sta che se il cuore della religione sta nel credere e nell’avere fede penso che una vita senza questo sia quasi impossibile da realizzare, perché è in noi come un istinto vitale, una necessità naturale e ineluttabile, per la salvaguardia della nostra specie e della nostra singola vita, come quando chi si illude di essere libero da ogni costrizione finisce col fare persino dell’ateismo la sua religione.

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MEDIUM, STREGHE E STREGONI «Certe cose non vanno elaborate ma semplicemente c***te via». PAROLE: Lo spazio per parlare di ciò che ci conturba.


Che ci crediate o meno (alla magia intendo) al giorno d’oggi esiste una vasta gamma di stregoni che, alla modica cifra di non so quanti euro, sono capaci di risolvere i nostri problemi, siamo essi d’amore, di soldi, di salute. Denigrati dai più, i medium sono considerati alla stregua dei santi e dai credenti venerati, per la loro capacità di metterci in contatto con l’invisibile.

E il punto è proprio questo: quale che sia il vostro credo o la vostra propensione alla vita è chiaro che non si può fare a meno di fare i conti con l’invisibile.
Ci sono cose che non vediamo ma che producono un effetto, il vento ad esempio. È l’elemento fondamentale, uno dei 4 elementi (l’aria), eppure è invisibile.
Le forze potenti che albergano in noi, quali l’amore, la speranza, la fede, sono invisibili ad occhio nudo, privi di quella che noi tendiamo a consideriamo “forma” eppure nessuno può negare la loro esistenza.
È questo quello che fanno gli stregoni, tentare di dare una forma a un qualcosa di talmente potente e inafferrabile che non ha bisogno di forma per esistere ma che, racchiuso in una scatola o in un amuleto, perderebbe la sua grandiosità poiché…
La vita e le sue implicazioni sono visibili solo nel momento in cui accadono, il resto invece è imprevedibile e, proprio per sua stessa natura, magico.
Nel nostro immaginario collettivo ricorriamo alla magia per semplificare il nostro dolore, risolvere i problemi, innalzarci, a livello materiale, al di sopra della nostra condizione terrena, umana e spesso tralasciamo di innalzare lo spirito, rifiutiamo di affidarci a Dio e seguire il suo consiglio di salvezza.

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