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Viaggio nel mondo dei mostri – parte due I MOSTRI

In questa serie di post intitolati Viaggio nel mondo dei mostri esploreremo le funzioni dei più temibili cattivi delle storie, quali fantasmi, vampiri, creature mostruose, passando per Mr. Hyde, IT e Freddy Krueger vari.

I MOSTRI
A che servono i mostri? Ne abbiamo davvero paura o è solo che “ci hanno inculcato così”… e se c’è da averne paura, beh… perché?
Se pensiamo al mostro probabilmente ci verranno in mente disparati esempi riconducibili al bagaglio culturale di ciascuno di noi: il Minotauro, Hulk, Frankenstein, l’Uomo Nero…
Perlopiù i mostri sono creature enormi, deformi e abominevoli.
Questo per quanto riguarda l’aspetto fisico. Ma mostro è anche un modo di essere, uno stato della coscienza. Quante volte sentiamo dire “Sei un mostro”, o diciamo così a qualcuno che ci fa del male o che fa del male “Mostro senza cuore”.
Ma è proprio così? Mostro è colui che è brutto e che non ha una coscienza?

La parola mostro viene dal latino “monstrum” e significa prodigio, cosa straordinaria, contro natura. Qualcosa che non somiglia a niente di ordinario e familiare e che rompe i canoni estetici ed etici a cui siamo abituati.
Basta questa semplice esplorazione nei meandri della parola a farci intuire perché il mostro genera paura: per istinto di sopravvivenza si teme sempre ciò che non si conosce.
Se ne deduce che la particolarità del mostro è quella di non avere un solo volto, in quanto incarna di volta in volta aspetti e ruoli diversi, a seconda del contesto in cui si trova, degli occhi che lo percepiscono, o dei luoghi che abita. Il comun denominatore, in ogni caso, è la sua diversità percepita.

La funzione letteraria del mostro, proprio per questo motivo è molto ampia e variegata.

– Mostro può essere una condizione dell’animo umano, una realtà silente che a un tratto si palesa ma che è percepita come cattiva, perché contro natura. Che il protagonista tenti di reprimerla o che si lasci sopraffare diventa conflitto e materia che genera il racconto.

– Mostro può essere il cattivo per eccellenza, il male allo stato puro, come IT nel libro di Stephen King.

– Mostro può essere una condizione solamente apparente, che spinge ad andare oltre lo sguardo del protagonista narratore, se protagonista è colui che osserva, e lo induce a scoprire vite spesso ingiustamente tormentate.

– Mostro può essere il protagonista, il cui ruolo principale probabilmente sarà quello di dover lottare per andare contro le apparenze, ed i torti subiti potranno metterlo nel “conflitto perfetto”, ovvero scegliere di adeguarsi ad essere mostro, come lo vedono gli altri, o essere se stesso e scoprire il lato migliore di sé.

Esempi di “mostri simpatici” sono Edward mani di forbice, il Gobbo di Notre Dame, Shrek, King Kong, ma anche il già nominato Frankenstein e il Minotauro in alcune famose rivisitazioni del mito.

Consigli di lettura:
Un ultimo fattore da tenere in conto è il racconto del modo in cui vengono generati i mostri, laddove se ne conoscono le origini. Spesso, infatti, nella storia della nascita c’è sempre qualcosa che va contro il naturale corso degli eventi.
Per questo, come esercizio da divano, consigliamo di leggere ed esplorare la nascita dei due mostri per eccellenza: il Minotauro e Frankenstein.

VIAGGIO NEL MONDO DEI MOSTRI parte uno I FANTASMI

Iniziamo parlando ancora una volta dell’antagonista, ebbene sì, ancora lui!
Come sappiamo l’antagonista incarna le paure peggiori del protagonista. In altre parole, il lato-ombra del nostro protagonista si cela dietro le fattezze dell’antagonista.
In questa serie di post intitolati Viaggio nel mondo dei mostri esploreremo le funzioni dei più temibili cattivi delle storie, quali fantasmi, vampiri, creature mostruose, passando per Mr. Hyde, IT e Freddy Krueger vari.

I FANTASMI
L’incontro con il fantasma è l’incontro con tutto ciò che il protagonista ha sempre tentato di rimuovere ma che è invece una presenza costante anche se (all’apparenza) inavvertita nella sua vita, capace di minarne l’equilibrio.
Incontrare i fantasmi equivale a fare i conti con l’ambiguità di ciò che è possibile definire “concepibile”: ciò che non è ma che potrebbe anche esistere. Ed effettivamente esiste. Perché il fantasma rappresenta il rimosso, ovvero qualcosa di talmente doloroso e terribile da accettare e che tuttavia è accaduto.
Può essere una rivelazione legata ad aspetti della personalità, un’azione che ha portato a conseguenze catastrofiche, un evento subito che ha minato la fiducia del protagonista, un lato di sé che non si accetta e che si proietta all’esterno.
Il fantasma è il topoi per eccellenza delle storie horror, e il genere horror altro non è che il modo di sondare gli abissi dell’animo umano e rappresentare le proprie paure, sublimandole.

Consigli di lettura:

Il giro di vite di Henry James

E per riflettere sull’importanza del topoi di genere e sulle possibilità infinite che nascono dal saperli padroneggiare:
Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde

L’ANTAGONISTA PARTE DUE: «soltanto alla luce del bene, il male trova una possibilità di essere detto»

I PILASTRI DELLO STORYTELLING
L’ANTAGONISTA PARTE DUE: <<soltanto alla luce del bene, il male trova una possibilità di essere detto>>

Nelle storie ci sono due possibilità di creare l’antagonista:

a) l’antagonista che rappresenta il male allo stato puro, la cui tensione è unicamente rivolta al possesso e alla distruzione.
Ne è un esempio Sauron ne “Il Signore degli Anelli”. Un grande occhio è la veste fisica in cui appare l’Oscuro Signore, ciò a cui anela è l’ anello che ha perduto, “l’anello del potere”, forgiato da egli stesso per controllare ogni cosa.

b) l’antagonista che non è totalmente malvagio. Esistono cattivi che hanno molti tratti positivi, doti, passioni, ma anche debolezze e fragilità. Il loro essere così “umani” li rende affascinanti e complessi quasi quanto il protagonista.
Gli antagonisti così disegnati diventano veri, di conseguenza l’effetto delle loro azioni malvagie diviene molto più potente.
Hannibal Lecter de “Il silenzio degli innocenti” e Magnete di “X-Men” rappresentano esempi calzanti.

Eserczio da divano: Cattivo deriva dal latino “captivus” che significa schiavo. Il cattivo delle storie incarna gli aspetti repressi ed inconsci del protagonista. Funziona come un “proiettore”. Pensa ad una persona che ti sta antipatica e cerca di capirne il perché: la riposta ti sorprenderà.

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L’ANTAGONISTA PARTE UNO: TUTTI VOGLIONO VIAGGIARE IN PRIMA

I PILASTRI DELLO STORYTELLING
L’ANTAGONISTA PARTE UNO: tutti vogliono viaggiare in prima.

Croce e delizia delle storie, per essere precisi di quelle migliori, l’antagonista svolge un paio di funzioni fondamentali.

Procedendo con ordine, scopriamo chi è l’antagonista lasciandoci guidare dal caro, vecchio adagio (nonché regola drammaturgica fondamentale) “Show Don’t tell” , ovvero “Mostra e non dire”. Mostriamo quindi cosa fa un antagonista doc:
1 – non vuole che il protagonista “faccia qualcosa”, ovvero che raggiunga l’obiettivo.
2- vuole la stessa cosa del protagonista e ha più strumenti di lui per arrivarci.

In sostanza l’antagonista è la manifestazione in carne ed ossa delle paure del protagonista, incarna i suoi timori peggiori, è la forza principale che lo blocca e gli si oppone impedendogli di raggiungere l’obiettivo.
Ogni cosa, però, concorre al bene ed è importante considerare un altro motivo per cui il ruolo dell’antagonista è fondamentale: egli infatti, incarnando e creando il conflitto (interno e/o esterno) del protagonista, paradossalmente prepara il terreno adatto a far avvenire il cambiamento. Detto in parole povere l’antagonista è la sfida che permette al protagonista di diventare eroe: più il nostro antagonista è potente, più il nostro protagonista sarà potente.

Esercizio da divano 1: prendi il libro che stai leggendo o il primo film che vedrai a breve e fai caso all’ antagonista: Chi è – che fa – cosa vuole- perché.
Allena lo sguardo e se ti va di condividere le tue opinioni con noi, scrivici!
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COSTRUIRE IL VOLTO DEL PERSONAGGIO: DIFETTI PREGIATI

3# LEZIONE di “Costruire il volto del personaggio”
Difetti pregiati.

Da un estratto del libro di Michel Faber “Il petalo bianco e il cremisi” in cui l’autore, attraverso gli occhi di William Rackman, ci introduce alla figura di Sugar.

– Buonasera, Mr. Hunt-. La sua voce non è molto femminile, anzi è perfino un po’ roca, ma assolutamente priva di qualsiasi grossolanità che ne riveli la classe.[…]William fissa la donna per cui è venuto, incapace di decidere se l’imperfezione del suo viso lo infastidisca (bocca troppo larga, occhi troppo distanziati, pelle secca, lentiggini) o se sia il più bello che abbia mai visto. Ogni secondo che passa è più vicino a decidersi.
Al suo invito, Sugar si accomoda accanto a lui, in un fruscio crepitante di gonne bagnate e di sudore fresco. Ha corso, a quanto pare, cosa che una donna perbene non farebbe mai, assolutamente mai. Ma il rossore che la corsa le ha fatto salire alle guance è maledettamente attraente e il suo odore è celestiale. Dall’acconciatura elaborata è sfuggito qualche boccolo e alcuni le ricadono sugli occhi. Con un languido movimento della mano guantata li scosta da una parte, oltre le sopracciglia folte […] Il collo, nota William, sporge un bel po’ dall’alto colletto del corpino. Ha il pomo d’Adamo, come un uomo. Sì. adesso ha deciso: è la cosa più bella che abbia mai visto“.

L’identità visiva di Sugar prende forma grazie ai difetti fisici che la caratterizzano: sono le sue imperfezioni che, conferendole una fisionomia particolare, si imprimono nella memoria ed evocano una personalità vivace ed anticonformista. La scelta di portare l’attenzione su dettagli visivi, sonori e olfattivi aggiunge colore alla scena: il risultato è molto più potente di una fotografia.
L’uso dei difetti nella descrizione di un volto può essere molto utile. Anche solo un dettaglio basta a caratterizzare un personaggio rendendolo unico ed indimenticabile, basti pensare al naso di Cyrano de Bergerac,  all’occhio strabico di Mattia Pascal o al gobbo di Notre Dame! I difetti diventano simbolo di condizioni particolari dell’esistenza, rivelano il destino, conferiscono un’anima.

Una nota: Scegliendo di mostrare il personaggio di Sugar attraverso lo sguardo di William, l’autore rivela parte del mondo interiore del protagonista: lo sguardo di chi guarda è fondamentale.